UNA BARCHETTA DI CARTA

 UNA BARCHETTA DI CARTA   2008 ed. GAFFI coll. Evasioni  

HO immaginato che gli anni, dal 1950 al 2000 e oltre, attraverso i pochi indizi che ero in grado di scorgere,potessero alimentare la materia narrativa delle mie fabule inquiete. In realtà è stato come portare un po' d'acqua dall'oceanoe riempire il catino di casa per avventurarmi in un viaggio. Il viaggio di una barchetta di carta, in un catino, appunto.

            

"I capitani fiumani e triestini di lungo corso che attraversano gli oceani chiamano beffardamente 'capitan de cadin' (di catino) quelli che percorrono solo piccoli tratti fra Trieste e l'Istria o tra Fiume e le vicine isole del Quarnaro, ma anche in quel golfo la bora provoca tempeste in cui si può naufragare." (Claudio Magris)

 

 

Riscontri critici

Questo libro, che è di assoluta leggibilità, mescola con sapienza il realismo con il fantastico, il magico con il metafisico, il comico e il tragico, e presenta una galleria di personaggi che si ricordano. La facile lettura non deve trarre in inganno sulla profondità dell’opera che mette a fuoco quella incerta linea di confine fra razionale e irrazionale che – di solito - viene interrogata solo dalla buona letteratura. La prosa è  limpida e pulitissima. (Dalla scheda di Andrea Carraro)

 


Quando si legge Del Giudice si resta estasiati dallo stile e dalla coerenza ai valori fondanti del suo impegno letterario, e in questo libro che raccoglie i suoi migliori recenti racconti, non si resta delusi, anzi lo consiglio a tutti. Lo considero imperdibile. (
Adriana Zarri su IBS)

 

Anni ‘50. Cristina Cantatore mette alla luce in una masseria abbandonata un bimbo di quasi quattro chili e mezzo, concepito dalla relazione con Don Pio, prete giovane e bello. Ginetto, crescendo, rivela di possedere uno straordinario talento calcistico che non sfugge a due osservatori della Roma, e non solo a loro. L’anziana marchesa Igea Cuccurullo ravviva i giovedì di una famiglia di conoscenti, raccontando con grande ed ambigua esperienza esilaranti e curiosi risvolti delle sue pregresse disavventure sentimentali. Anni ’60: Giorgia Delli Paolis parte in treno da Caserta diretta a Milano, sperando che il fratello – funzionario della RAI – possa aiutarla ad arginare la deriva di Mario, un tempo figlio modello, ormai votato ad un ruolo di rivoluzionario teatrante. Il rampollo di una benestante famiglia borghese è affetto da autismo: se il ragazzo dimostra di fraintendere la natura di tale sindrome, i luminari della Medicina non sembrano avere idee altrettanto chiare sui rimedi necessari. Anni ’70: Walter Anastasi è visitato da uno strano sogno in cui avrebbe perso una gamba, un braccio e quasi tutta la spalla sinistra; a moglie e amici sfugge la valenza simbolica dell’incubo; ma non al protagonista, che ben conosce dove si collochi quella parte di sé di cui avverte la reale mancanza. Le concupiscenti fattezze giovanili di Talia accendono la voluttà di Riccardo, psicologo maturo e sposato, e lo conducono alla presa di coscienza di una dilagante piaga sociale. Anni ‘80: Paco è un killer di professione, che dal padre torero ha ereditato la capacità di rischiare la vita per uccidere, fino a quando il distacco dalla vita assumerà le sembianze di una bambina di sette anni simile alla Madonna del cardellino. Le avverse condizioni della sorte riducono l’anziana Edmonda de Asmundis a cercare proventi nel commercio di pensieri filosofici, cercando invano di colmare il vuoto spirituale del mondo. Anni ‘90: il destino professionale e familiare di Riccardo, noto scrittore di romanzi rivolti ad un pubblico 'facile', appare insidiato da un oscuro tormento sessuale che preme al suo interno. Le ragazze fanno a gara per contendersi le prestazioni sessuali di un ragazzo bellissimo, alto un metro ed ottanta, capelli lisci e neri, occhi verdi, spalle larghe e fisico muscoloso. Questi non si sottrae ad alcuna richiesta e non fa differenze di ordine estetico. Oltre il 2000: un giovane misterioso, vestito con un abito blu, ogni notte torna a dormire sul sofà di uno scrittore indigente; Franz lo caccia di casa senza accorgersi che si trattava di un cinico personaggio in cerca di un romanzo di successo. In una sola notte 280 persone, 154 uomini e 126 donne, vengono passate per le armi. Sono tutti poeti, scrittori, registi, attori, artisti e musicisti: vengono istallati degli apparecchi in grado di captare le onde cerebrali. Tutto questo avviene senza produrre alcuna risonanza pubblica…
Una barchetta di carta è un libro agile e brillante, articolato in sei coppie di racconti che spaziano dal fascino retrò degli anni ’50 all’ambiguità dei nostri giorni. I decenni sono come tralicci ai quali Attilio Del Giudice appende, di volta in volta, due racconti animati da personaggi dalla psicologia complessa ed in cerca di una vita propria. Sono ambientati nella provincia di Caserta, che diviene così scenario di una lunga storia corale, nella quale il destino dei singoli si intreccia al progressivo venir meno delle secolari certezze provinciali. Con un acume ed un disincanto spiazzante, l’autore racconta personaggi che paiono prigionieri dell’incolmabile abisso tra la purezza degli ideali e la meschinità delle passioni più torbide, le debolezze più autenticamente umane che li portano ad occupare un posto in prima fila nel teatro del gaudio effimero. Del Giudice, ripercorrendo le tappe della vicenda sociale, si interroga continuamente sul rapporto tra arte e vita, fra l’ansia che si cela dietro alle facciate indifferenti e tranquille della città di provincia e la voglia di guardare fuori. Con l’intento di afferrare l’indecifrabile ambiguità della vita, la violenta contraddizione tra l’ineludibile e la ricerca, l’orrendo potere del male, che è latente in ognuno di noi ed ha solo bisogno di un detonatore per liberarsi. Lo scoppio avviene per cause apparentemente minime, immaginarie o casuali, ma che ben rappresentano l’eco di un malessere, gli effetti di una trama sociale sfilacciata e profondamente logorata.
Sospeso tra il sogno e la realtà, il grottesco e la tragedia l’autore non perde mai il senso dell’ironia né la tenerezza per quei momenti che mantengono in vita il cuore dell’uomo. E ci aggancia facendo risuonare qua e là qualche cupa nota della nostra personale esperienza. (
Gian Paolo Grattarola su MANGIALIBRI)

 

20 08 2008

Non avevo mai letto niente - l’ignoranza non è mai poca - del mio amico di blog Attilio Del Giudice, noto scrittore, oltre che pittore e filmaker. Molti lo conoscono per Morte di un carabiniere (Minimum Fax, 1998), Citta amara (Minimum Fax, 2000) e Bloody muzzare (Leconte, 2004), una trilogia che mette in scena le indagini del commissario De Grada e del brigadiere Capece, con invenzioni linguistiche che lavorano sulla mescolanza fra il dialetto casertano e l’italiano, come Gadda fece col romanesco. Più di recente ha pubblicato La vita incagliata (Leconte, 2006) e Una barchetta di carta (Gaffi, 2008).

Fra una nuotata e l’altra nel canale di Sicilia, in questi giorni mi sono letta Una barchetta di carta. Un libro minuscolo, che poco ti chiede (in termini di ingombro fisico e tempo di lettura) e molto ti dà: se ho contato bene, 11 fra racconti, novelle e ritratti, più un romanzo in miniatura, ripartito in ben 16 microscopici capitoli.

Tutte le storie sono ambientate in Italia, fra gli anni Cinquanta del secolo scorso e il decennio che stiamo vivendo. Dice Attilio nella nota introduttiva:

“Ho immaginato che gli anni, dal 1950 al 2000 e oltre, attraverso i pochi indizi che ero in grado di scorgere, potessero alimentare la materia narrativa delle mie fabule inquiete. In realtà è stato come portare un po’ d’acqua dall’oceano e riempire il catino di casa per avventurarmi in un viaggio. Il viaggio di una barchetta di carta, in un catino, appunto.”

In realtà ti immergi in quel catino e nuoti in mare aperto. E nuotando nuotando, ti vengono pensieri, ricordi e fantasie. A volte ti scopri a sorridere come una scema. Oppure senti gli occhi bruciare, credi sia l’acqua salata ma ti accorgi che è una lacrima.

E nuotando nuotando, incontri pesci che hanno i colori delle Pittate d’ogni giorno. Una pittata apre gli anni Cinquanta:

“C’era un prete col basco e una bicicletta. Il prete pedalava come un pazzo su un filo, a cento metri d’altezza o, almeno, così sembrava a lui, tanta era l’ansia. In realtà, correva lungo una strada asfaltata di fresco e il suo bel profilo si specchiava, con rapidi flash, nelle finestre sbarrate dei pianoterra di giallastri caseggiati per civili abitazioni, che l’Istituto Case Popolari doveva assegnare, spulciando da una lunghissima lista di senzatetto.” (p. 3)

Il ritratto de “La fachira non è di quelli che si scordano:

“Nonostante l’età - diceva - mi mantengo agile e snella, perché sono moderata: un tè senza zucchero al mattino e un solo pasto al giorno alle sette di sera”. In realtà era spaventosamente magra e, per questo, le mie sorelline e io la chiamavamo la fachira.” (p. 12)

Con un’altra pittata comincia il romanzo piccolo piccolo, ambientato negli anni Novanta, che s’intitola “Lo scrittore e la realtà”:

“Quando Riccardo comprò quella casa di pietre, rude come una torre saracena, lontana dalle giungle d’asfalto e anche (almeno un mezzo chilometro) dall’unica stradina asfaltata dell’isola, gli parve di realizzare un desiderio che, nemmeno, sapeva di avere.” (p. 71)

Però non devi credere che le pittate di Attilio stiano ferme a non fare niente. Si muovono moltissimo, invece. Guarda come l’“Autistico” diventa tale:

“- Statti zitto, che ne sai tu! - Così dicevano. Me lo dicevano sempre. Effettivamente che ne sapevo io, ma a starmi zitto non me ne teneva, per questo decisi di andare a parlare da solo nella mia stanza.” (p. 31)

E che dire delle “Varianti del Male”, interpretate da Paco negli anni Ottanta?

“Paco nel suo campo era il migliore. Un artista s’era detto. Il suo campo, la professione che sin da ragazzo aveva esercitato con indiscutibile successo, era l’assassinio. Non per sé, per i fatti della sua vita, ma per altrui committenza.” (p. 55). Accadono cose strane nel catino di Attilio. (Giovanna Cosenza  in  DIS.AMB.IG.UANDO.)

       
A chi conosce il pennello di Del Giudice (le sue pittate quotidiane sono sul web), oltre che la sua penna, certi personaggi della Barchetta sembrerà proprio di vederli a colori: la fachira, il travet Aiace Armitrano, il killer Paco... La barchetta va leggera e veloce sulle onde, e noi lettori attraversiamo con lei cinquant'anni di storia italiana, ma non mancano gli sguardi nella profondità del mare dell'animo umano e i suoi misteri: la tentazione, la creatività, la passione, la morte. Bellissimo.(
Luisa Carrada su IBS)

 

Quando questo libro arrivò in redazione fu una giornata bellissima: Attilio Del Giudice era tornato! Non abbiamo mai nascosto la nostra passione per questo autore e ritrovarlo pubblicato da Gaffi Editore è stato un piacere, anche sotto l’aspetto estetico: il volumetto è stampato in un comodo formato tascabile e la copertina ha un riquadro ritagliato che in parte mostra, e in parte nasconde, l’immagine intera presente in terza pagina, che accompagnerà il lettore nella scoperta di questa raccolta di racconti. Difatti è proprio attraverso questa finestra ritagliata che entriamo nel vivo dei contenuti, per “navigare” tra numerose storie catalogate per decenni, dagli anni ’50 fino ai nostri giorni. Stavolta, quindi, non ci troviamo di fronte ai personaggi seriali conosciuti negli ottimi noir precedenti. No, Attilio ci fa conoscere nuove trame tracciandole con la sua penna raffinata e il suo stile inconfondibile. I racconti sono brevi e intinti di humour nero, cinismo, magia e realtà. Troviamo personaggi fantastici a cui ci si affeziona, di cui si “divora” la vita seguendo le loro vicende fino alla conclusione, che spesso lascia un sorriso amaro. Degno di una particolare menzione è il testo degli anni ’90 “Lo scrittore e la realtà”: ci sono tutti i presupposti per farlo diventare una storia indipendente, un libro a sé… e se Attilio non lo ha già pensato, glielo suggeriamo noi! "Una barchetta di carta" è un'altra conferma delle capacità di Del Giudice, è una chicca da avere in biblioteca e regala istanti di pura neo-letteratura e pennellate di avanguardismo, perché Attilio non ha mai temuto di essere un autore fuori dagli schemi ingessati di molti pubblicazioni contemporanee. E per leggere questo genere di libri un ringraziamento va fatto anche alla casa editrice che, in tempi difficili e in un paese dove non si legge mai abbastanza, scommette e investe sul talento dei suoi autori. Gaffi e Del Giudice: un’accoppiata che non dimenticheremo. Da leggere.(Luigi De Luca su Aphorism)

Altri riscontri apparsi su IBS

Antonio  (16-11-2008)
Sono stato riluttante a leggere questa raccolta di racconti, nonostante l’entusiastica segnalazione di mia moglie, questo perché ai racconti preferisco di gran lunga la lettura di romanzi e di saggi storici (un’idiosincrasia un po’ superficiale, lo ammetto). Ma ieri, finalmente, ho letto Una barchetta di carta e devo dire che ne sono rimasto piacevolmente colpito.C’è, in questo libro, una grande varietà di temi,di forme di scrittura e di registri; per esempio, si va dalla “soavità” del primo racconto, all’estrema “terribilità dell’ultimo, così che il lettore può scegliersi il racconto che più lo affascina e lo coinvolge. Nella mia graduatoria virtuale, che non è stata facile perché i racconti sono tutti belli, ho messo al primo posto quello intitolato: Lo scrittore e la realtà, che, peraltro, è lungo e ha la struttura di un piccolo romanzo. Qui Del Giudice affronta il tema del rapporto dello scrittore con la realtà . Se uno scrittore vuole attingere dalla realtà ed esserne l’interprete, o è in grado per capacità e forza morale di andare fino in fondo, fino alle verità, oppure la realtà stessa lo distrugge, lo annulla come scrittore. Il tema è attualissimo, specialmente dopo lo spartiacque di Gomorra e Del Giudice percorre la problematica con la consueta fluidità linguistica, con le sue spiccate attitudini di cantastorie e con assoluta indipendenza dalle mode letterarie.
Voto: 5 / 5

Aldo (09-09-2008)
Una Barchetta di Carta si propone come un viaggio nel tempo: dagli anni 50 a oltre il 2000. L’autore, Attilio Del giudice, fa pochi accenni ai fatti salienti della storia (eccettuati il drammatico sequestro Moro e l’annientamento della scorta nel racconto: Talia e Psicologo, ambientato negli anni 70); tuttavia Una Barchetta di Carta ci restituisce lo spirito del tempo, del secondo cinquantennio del secolo scorso, degli anni che stiamo vivendo e, attraverso una metafora di gusto orwelliano, perfino di un possibile terribile futuro. Un piccolo libro di grande interesse, dove la drammaticità si alterna alla comicità, una scrittura leggera a una scrittura concettualmente densa. Mi pare che questi 11 racconti e il breve romanzo, Lo scrittore e La Realtà che formano la raccolta, reggano il confronto con le altre opere di Del Giudice e anche con La Vita Incagliata, che considero un piccolo gioiello.
Voto: 5 / 5

lidia (01-09-2008)
Credo che Una Barchetta di Carta di Attilio del Giudice sia uno dei libri più interessanti apparsi sulla scena letteraria negli ultimi mesi. Alla sua quinta prova lo scrittore casertano conduce il lettore in una sorta di viaggio nel tempo: dagli anni 50 al 2000 e oltre. Lo fa affrontando vari temi, taluni complessi e profondi, e vari registri espressivi. Con La Barchetta Del Giudice riscopre il gusto della metafora e, attingendo generalmente dalla realtà, sa accogliere nella sua prosa anche quel vitalismo narrativo che talvolta incontriamo nella letteratura detta “di genere” (dal giallo al fantastico, al fantascientifico). Tutto si dipana in uno stile fluido, una scrittura, come osserva Andrea Carraro, di grande leggibilità e disegnando sapientemente personaggi e situazioni, così che il lettore viene inchiodato al libro dalla prima all’ultima pagina. Concordo con quanto dice Adriana Zarri: La barchetta di Carta è imperdibile.
Voto: 5 / 5